Tutto ill piena luce, sto qui in vetrina marciando sulla solita rotaia, il microfono, là, sembra un ’icona, anzi, l’ombra di una feritoia. Al microfono non valgo proprio un’acca e la mia voce può suscitare orrore e già lo sento che alla prima stecca l’impietoso mi amplifica l’errore. Mi opprimono le luci della ribalta, il riflettore preme e poi mi assalta mi acceca e mi ribalta il proiettore, che sudore... che sudore... che sudore. Lui, la bestia più sottile di una lama, che ti nota la stonata più minuta, se sono afono non se ne fa un problema, tanto meglio intonar bene la nota. Oggi sento un raschio nella gola ma non mi arrischio a cambiar tonalità, non c’è rischio che se una nota cala sul rigo giusto lui la riporterà. Mi opprimono le luci della ribalta, il riflettore preme e poi mi assalta, mi acceca e mi ribalta il proiettore, che sudore... che sudore... che sudore. Si avvolge nella sua figura elastica il microfono dalla testa di serpente, se sto zitto mi morsica e mi mastica, canterò finché vito lo consente. Non agitarti, fermo, non osare, con la lingua biforcuta mi sgomenti, non sono qui a cantare, ma a incantare, sono un incantatore di serpenti. Mi opprimono le luci della ribalta, il riflettore preme e poi mi assalta, mi acceca e mi ribalta il proiettore, che sudore... che sudore... che sudore. Mi becca dalla bocca tutti i suoni come un uccellino, per poi tirarmi in fronte dieci grammi di piombo; e le mie mani, che la chitarra impegna, non potranno niente. Ma quanto durerà? ancora tanto? E il mio microfono cos’è, chi mi risponde? Sembra un cero sul mio riso, soltanto che io non sono un santo e lui non splende. Mi opprimono le luci della ribalta, il riflettore preme e poi mi assalta, mi acceca e mi ribalta il proiettore, che sudore... che sudore... che sudore. Le mie sono armonie elementari ma se appena sbaglio corda col mio plettro come pena mi sfregiano severi il mio microfono in combutta col suo spettro. Tutto ill piena luce, sto qui in vetrina marciando sulla solita rotaia, il microfono, là, sembra un ’icona, anzi, l’ombra di una feritoia. Mi opprimono le luci della ribalta, il riflettore preme e poi mi assalta, mi acceca e mi ribalta il proiettore, che sudore... che sudore... che sudore.
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