Il mio uomo nero in doppiopetto grigio Che sia burocrate, sbirro o ministro Bussa alla porta, inatteso e ligio Cambia di maschera come un clown sinistro Mentre mi spezza le ali mi sorride E mentre grido mi guarda cattivo Per l’impotenza la voce mi stride E grazie tante se ancora sono vivo Mi faccio calma, allungo la scena Chiedo consiglio ad un santone indiano: Tutto ha una fine, anche ‘sta catena E poi mi esplode l’urlo, mi dimeno. Attorno a me l’isteria chiama la gogna “Guarda che viaggi, a Parigi che fa E i dirigenti stanno zitti? Vergogna! Ci fosse ancora quello di qualche anno fa!” Le voci salgono calunniosamente Su come faccio denaro e vacanze Vi lascio tutto, anche immediatamente: Del mio regno vi do tutte e tre le stanze! Certi miei amici, poeti laureati Paternalistici danno lezioni “I versi è meglio tenerseli appuntati E non buttarli al vento delle canzoni” Io reggo a malapena me stesso È alla morte che parlo e che ascolto Era già un pezzo che mi veniva appresso Ma la mia voce rauca la spaventa molto Son sempre pronto per gli appuntamenti Ed a domanda rispondo come so Io con la vita ho già fatto i miei conti E mi trascino il fardello da mo’ Fra il sacro e il falso la so la differenza E chi ha provato non me l’ha divelta Sulla strada che mi avanza, io avanzo Che per fortuna non ho avuto scelta.
© Alessio Lega. Traduzione, 2008