Anche quello che la pallottola non può colpire Molle di terrore, si adagia e trema. Sorridiamo al nemico con il nostro ghigno di lupo I garresi dei cani non sono ancora lisci Ma sulla neve tatuata di sangue Confessiamo: «Noi non siamo più lupi».         Strisciamo, la coda tra le zampe, come cani Alziamo verso i deli le nostre fauci stupite Il castigo piove su di noi dall’alto degli astri Il mondo finisce è la follia che invade i nostri cervelli Senza fine le libellule d’acciaio ci mitragliano La pioggia di piombo ci inonda di sangue. Siamo accerchiati, decidiamo di capitolare. Sotto i nostri ventri brucianti la neve si scioglie L’uomo solo, senza Dio, ha fomentato questa carneficina Di tutto ciò che vola e che fugge.                 Verso la foresta, devo salvarne uno, Verso la foresta, lupi, le pallottole talvolta mancano il fuggitivo!         Che cosa posso fare da solo? Non posso nulla. I miei occhi non vedono più, le mie narici non palpitano più. Dove siete, lupi, ieri fiere della foresta? Dove sei, mio branco, dagli occhi dorati? Io sono vivo, ma le belve mi circondano, le belve che ignorano il richiamo dei lupi, queste belve del nostro lontano lignaggio, questi cani ai quali un tempo davamo la caccia. Con il mio ghigno di lupo sorrido al nemico A lungo denudo le mie zanne marcite Ma sulla neve tatuata di sangue Si scioglie la nostra confessione: «Noi non siamo più lupi».
© Gianni Da Campo. Traduzione, 1990