Un po’ sbronzo andaro per la foresta non domo, urlavo canti per i cori sapevo solo sciocchezze come questa: "come vi amavo, begli ocelli neri!" Con andatura stanca e poi più spiccia forzando il loro trotto, i miei ronzini mi sballottarano, e sulla faccia sclizzava il fango degli acquitrini. Inghiottita la fanghiglia e la saliva ad un’altra bottiglia io tiravò il collo, e così il canto ripartirà: "begli occhi neri, come ri amaro!"     Per rinfrancarmi scuoto un po’ la testa, avevò abbandonato ogni difesa, con un’occhiata scruto la foresta e ad un tratto fischio di sorpresa: la selva è un’invarcabile barriera, frenano i cavalli per paura agitando le orecchie e la criniera: dove trovare uno spiazzo, una radura? Pungono gli aghi, non si vede a un braccio, fino alle ossa, si vanno a conficcare, cavallo, vecchio mio, traimi d’impaccio, Perchè, fratello, t’impunti ad impuntare? Come veleno grondava da ogni fronda la pioggia, puzzando di sventura, ad un tratto, ecco un lupo che si fionda sul cavallo, sotto la groppiera. Sei scianto un ubriacone volgare, l’alcool ti ha proprio appannato gli occhi, la morte è là: impossibile scappare, ti sei perduto gli ultimi tarocchi. Senza una briscola non resta che la morte, contro i lupi mi metto a sbraitare: "che il diavolo vi porti!" urlo forte, ma i cavalli son punti dal terrore. Agito la frusta e con vigore colpisco cantando "begli occhi neri", la mia frusta continua a schioccare ma sbuffano e scalciano i destrieri. Non fanno che danzare follemente come tanti immobili bersagli ed a loro fa eco risonante la danza gioiosa dei sonagli. Vi giuro, su questa vita mia: farvi scoppiare è quello che vorrei! Amici miei, portatemi un po’ via, portatemi via da qui, nemici miei. Nella corsa la sbronza se ne è andala, scaliamo un pendio a spron battuto e grondiamo di una bianca schiumata: abbiamo ritrovato il nostro fiato. Anche la voce abbiamo ritrovato, anche la gola abbiamo rischiarito, fino a terra mi sono prostrato davanti ai cavalli che non mi han tradito. Dalla slitta ho gettato via i miei stracci e li ho guidati poi per la cavezza. Cavalli miei, che Dio vi abbracci per esser stati l’unica salvezza.                
© Sergio Secondiano Sacchi. Traduzione, 1992