Il mio uomo nero in doppiopetto grigio, Poteva essere un ministro, un direttore di condominio, un ufficiale, Come un clown malvagio, cambiava volto, E mi colpiva allo stomaco, all’improvviso, senza motivo. E, sorridendo, mi stavano spezzando le ali, Il mio rantolo a volte era come un ululato, E io diventavo muto, per il dolore e il senso di impotenza, Riuscivo solo a sussurrare: “Grazie per essere ancora vivo”. Ero superstizioso, cercavo i segni Che non era niente, che dovevo solo aver pazienza, che tutto si sarebbe sistemato... Riuscivo perfino a penetrare negli uffici della gente importante Per poi giurare a me stesso: “Mai più!” Intorno a me gli isterici strillavano: “Quello va a spasso a Parigi, come se fosse una cosa normalissima, Bisognerebbe cacciarlo via dalla Russia, E già da tempo, probabilmente, i capi si sono rammolliti”. Spettegolavano della mia dacia e del mio stipendio: Quello ha un mucchio di soldi, li fabbrica da sé nella notte. Sentite, vi lascerò tutto, prendetela pure gratis La mia cella di tre stanze. E certi miei amici, poeti affermati, Appioppandomi delle pacche condiscendenti sulla spalla, Cercavano di darmi dei consigli furbi: Guarda, non è il caso di mettere in rima “urlando - sporgendo”. E il mio filo della pazienza è esploso E io e la morte siamo passati a “darci del tu”. Era già da un pezzo che lei mi girava intorno Aveva solo un po’ paura della mia raucedine. Non ho intenzione di nascondermi dal giudizio, E se verrò richiamato - risponderò come si deve. Ho già misurato la mia vita, fino all’ultimo secondo E bene o male tiravo avanti la mia carretta. Ma io so che cosa è falso e che cosa è sacro, Dopotutto, io l’ho capito da tempo. La mia via è soltanto una, ragazzi, soltanto una Per fortuna, non devo fare la scelta.
© Irina ?. Traduzione, 2018